La storia di Uomo Faber, precisiamo, non è reale. È finzione letteraria. Quello che figura tra le pagine del libro è «un De André immaginato, immaginario, verosimile ma non vero». Così lo descrive Càlzia, autore dei testi: «ho cercato di interpretarlo, di descrivere quello che era ed è il mio Fabrizio, non la sua musica ma la sua umanità». Un romanzo per immagini, un percorso attraverso disegni nervosi e imperfetti: «per realizzare De André ho dovuto tornare alle mie origini, quando disegnavo in maniera schizzata» spiega Milazzo, «perché spesso un segno dinamico ha più valore dell'eccessiva definizione». Vicende realistiche ma non reali, dunque. Come l'impossibile salto in avanti verso un episodio che De André non ha potuto vedere: il G8 del 2001 e i fatti della Diaz, scuola che il cantautore frequentò effettivamente negli anni delle elementari. Tutto d'un botto, tra le vignette a colori ecco che compaiono scene violente, disegni scuri in cui si confondono sangue, manganellate e pellirossa in una terribile visione onirica che accosta i fatti del luglio di nove anni fa alla canzone Fiume Sand Creek. «Dopo il G8 parlai con Dori Ghezzi», afferma Càlzia, «che mi domandò: Chissà Fabrizio cosa avrebbe detto?». Grande ammiratore del cantautore genovese dalla fine degli anni Settanta, Càlzia ancora ricorda il suo incontro con De André: «avvenne a Monaco di Baviera nel 1982», racconta, «io vivevo lì e dovevo fargli un'intervista per un giornalino universitario, lui doveva registrare Fiume Sand Creek in playback in uno studio televisivo. Seduti per terra in un corridoio abbiamo chiacchierato per quattro ore: all'inizio parlando dei massimi sistemi, alla fine discutendo di calcio e del Genoa». |